Consapevole della propria responsabilità sociale, ABS Food ha garantito la distribuzione di materie prime e ingredienti alimentari anche nelle fasi più difficili dell’emergenza Covid-19. Grazie a un’organizzazione flessibile e reattiva.
di Alessandro Bignami
Una forma mentis aperta e flessibile. Gli investimenti in piattaforme tecnologiche e organizzazione aziendale. La costruzione di partnership solide. Sono alcuni dei fattori che hanno consentito ad ABS Food di reagire rapidamente all’emergenza coronavirus, senza mai perdere la fiducia e la capacità di dedicarsi ai progetti futuri. Con la sua attività di distribuzione di ingredienti alimentari di importanti partner internazionali, l’azienda veneta si è trovata immediatamente in prima linea nella garanzia dei servizi essenziali, avvertendo la responsabilità sociale in un momento storico drammatico per l’Italia. Poco dopo la metà di aprile, abbiamo potuto parlarne con Valentina Mengato, Sales Director dell’azienda.
Valentina Mengato, che impatto ha avuto finora l’epidemia sulla vostra azienda?
Anche durante il lockdown abbiamo proseguito l’operatività al 100%, appartenendo alla catena dei servizi essenziali. Già a fine febbraio ci siamo trovati in prima linea, poiché la nostra sede si trova a una quarantina di chilometri da Vo’, uno dei focolai iniziali dell’epidemia. Abbiamo reagito bene, ci siamo dati da fare, abbiamo cercato di individuare in questa drammatica situazione delle fonti di ispirazione, sia nell’organizzazione dei processi aziendali sia in quella del personale.
A questo proposito avete fatto un ampio ricorso allo smart working?
Sì. Un cambiamento che non ci ha colto impreparati. Avevamo già investito in una piattaforma tecnologica potente, che ci consente di gestire molte attività da casa. Abbiamo sempre puntato su una gestione flessibile e dinamica del personale che spesso, a partire dalla forza commerciale, si trova ad esercitare le sue funzioni al di fuori della sede. Ci siamo adattati rapidamente perché abbiamo una forma mentis aperta ai cambiamenti. E poi con lo smart working si lavora anche di più, non si perde tempo nel traffico, si guarda meno l’orario. Nella fase di lockdown la metà degli operatori ha lavorato da casa, mentre sono rimasti sempre aperti i reparti adibiti a magazzino e logistica, il laboratorio e, a turno, una persona era presente per il back office.
Quindi siete riusciti a contenere gli effetti dell’emergenza sulla quotidianità lavorativa.
Sì, anche se non è stato facile trovarsi di fronte a una situazione totalmente imprevedibile e della cui durata nessuno ha tuttora una reale idea. Ci troviamo tutti in una terra non conosciuta, dove occorre reinventarsi. Questo però non ci spaventa. Fin da subito abbiamo istituito una task force, composta dalle figure di riferimento per la gestione del personale, con l’obiettivo prioritario di mettere tutti in sicurezza. Abbiamo regolato i turni per il magazzino, concedendo agli operatori dei periodi di pausa per alleviare i carichi di stress di questo periodo. Ci siamo dotati di mascherine e di tutti i DPI necessari. Essendo inseriti nei servizi essenziali, siamo stati chiamati a mantenere la piena operatività, ci siamo sentiti investiti di un’importante responsabilità sociale. Senza gli ingredienti, le industrie alimentari non possono produrre il cibo che troviamo nei supermercati.
Oltre a quella prioritaria della sicurezza, quali altre criticità avete dovuto affrontare e risolvere?
Importiamo molto, essendo distributori di partner non solo europei. Non posso negare che nella prima fase dell’emergenza, quando i trasporti sono stati drasticamente ridotti e molti confini chiusi, sono emerse notevoli difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime. Fortunatamente, contando su rapporti consolidati con diversi fornitori e società di trasporti, siamo riusciti a garantire un servizio basilare anche nei momenti di maggiore caos, quando al confine con l’Austria si accumulavano code di decine di chilometri. Tutte le aziende hanno avuto modo di toccare con mano quanto facciano parte di un organismo ben più largo dei confini nazionali. I commerci mondiali sono stati ridotti al minimo e per il futuro non mancano le incertezze. Penso al lockdown dell’India e alla Cina, che ha ripreso a produrre materie prime alimentari soprattutto per il consumo interno ma poco per l’export, come nel caso della soia.
Rispetto alla convulsa fase iniziale, il flusso dei prodotti provenienti dalla Ue è migliorato nel corso delle settimane?
Sì, dopo le prime due settimane di forte crisi l’Europa ha creato un corridoio per il trasporto delle merci. In realtà i problemi non hanno riguardato solo le importazioni, ma anche le consegne, che molti autotrasportatori non garantivano ai clienti nelle zone rosse. Quando poi si riusciva finalmente a organizzare un trasporto, poteva capitare di scoprire che l’azienda in attesa della consegna era stata messa in quarantena la sera prima. Le cose stanno lentamente migliorando, ma i fattori di incertezza sono tanti e bisogna muoversi guardando al breve periodo e con grande attenzione.
Ci sono stati dei segmenti dell’alimentare che hanno incrementato la domanda?
Anzitutto c’è stata una netta distinzione negli sbocchi della filiera. Da un lato l’impennata della grande distribuzione, che ha indotto molte aziende alimentari ad aumentare i turni e la capacità produttiva; d’altro la paralisi del canale horeca, della ristorazione, delle mense scolastiche e aziendali. In questa emergenza il cibo ha giocato un ruolo centrale, evidenziando tutto il suo potenziale gratificante e “consolatorio”: in molte abitazioni si è riscoperto il tempo passato in famiglia e attorno a una tavola, si è ricominciato a fare in casa la pasta, le focacce, la pizza, le torte. Al contempo la necessità di cucinare due pasti al giorno ha fatto crescere la richiesta di piatti pronti. Infine l’allerta sanitaria ha risvegliato l’attenzione sulla componente salutista dei cibi, premiando i prodotti gluten e allergen free, i cibi biologici, le proteine vegetali in alternativa a quelle animali. Proprio le proteine vegetali – per esempio di soia o di pisello – sono tra i nostri prodotti di punta.
Come avete preparato la fase 2?
A livello di organizzazione interna non cambia molto, perché abbiamo sempre lavorato a pieno regime. Più che altro monitoreremo la riapertura di bar e ristoranti e di tutto il comparto turistico collegato, che purtroppo sta andando incontro a una tragedia economica. Intanto abbiamo ragionato sull’impostazione dell’approccio commerciale in questa fase di transizione. Stiamo adottando una strategia di affiancamento dei nostri clienti per essere pronti, al momento della ripartenza, con le scorte dei prodotti e con nuovi progetti. Un aspetto interessante è il fermento dell’area ricerca e sviluppo, che è impegnata su diverse idee. La difficile fase storica che stiamo vivendo non sta intaccando la creatività tipica degli imprenditori italiani.
Questa drammatica esperienza modificherà il nostro modo di lavorare?
Ci porteremo dentro tante tracce di ciò che sta succedendo. La filosofia commerciale sta cambiando, la distanza fisica è compensata da costanti contatti su strumenti digitali. Le competenze conteranno di più, non basteranno i rapporti umani. Lo scenario si sta modificando, si stanno instaurando nuovi equilibri economici fra le potenze mondiali.
Servirà maturare una più forte coscienza europea e internazionale se vogliamo far fronte a problemi globali, dall’attuale devastante pandemia all’urgente questione ambientale. Abbiamo visto più chiaramente quanto dipendiamo gli uni dagli altri.