La filiale italiana è stata la prima del gruppo Bühler ad affrontare, in Europa, l’emergenza coronavirus, adattandosi rapidamente a nuove modalità operative. L’Amministratore Delegato, Pierpaolo Torriani: “Al momento i grandi investimenti sono congelati o posticipati, ma con la digitalizzazione abbiamo mantenuto il contatto con i clienti e raccolto comunque ordini. Questa drammatica esperienza sta cambiando il modo di fare business”.
di Alessandro Bignami
Bühler Italia è stata la prima filiale europea, all’interno del Gruppo internazionale leader nelle tecnologie per la produzione e il processo alimentare, a prendere le misure contro l’emergenza coronavirus e adattarsi a modalità lavorative finora inedite. Lo ha fatto con rapidità e la capacità di mantenere la continuità operativa e il contatto stretto con i clienti. Un esempio, quello di Segrate, a cui anche le altre filiali europee del Gruppo hanno guardato, mano a mano che l’epidemia si è diffusa nel continente.
Bühler Italia è un’organizzazione sales & service. Per il mercato nazionale, si occupa della vendita di macchine e impianti nuovi, fornisce i ricambi, gestisce il servizio di assistenza tecnica post vendita e tiene corsi di formazione. Inoltre un reparto di ingegneria sviluppa progetti per impianti completi sulla base delle specifiche esigenze dei clienti.
Alla vigilia della fase 2, in cui il Paese deve trovare un difficile equilibrio fra esigenze produttive e controllo della circolazione del virus, abbiamo parlato con Pierpaolo Torriani, AD e Direttore Generale di Bühler Italia.
Signor Torriani, come avete organizzato il lavoro nel periodo di lockdown?
All’interno del nostro Gruppo siamo stati i primi a reagire e a prendere provvedimenti, essendo stata l’Italia il primo Paese occidentale ad essere aggredito dal virus.
Ci siamo organizzati quasi immediatamente per lavorare in smart working. Già a partire dall’ultima settimana di Febbraio, abbiamo sperimentato per la prima volta questa modalità per circa l’85% del personale. Poi, vista la gravità dell’epidemia nel Nord Italia, abbiamo deciso di adottare lo smart working per tutti i 53 collaboratori a partire daI primi di marzo, alla vigilia del DPCM che ha esteso il lockdown a tutto il Paese. In breve siamo riusciti a raggiungere la piena operatività da remoto, inclusi i meeting interni con la casa madre e quelli esterni con i clienti, grazie alle piattaforme digitali. Abbiamo inviato la comunicazione ufficiale alle Prefetture per poter svolgere gli interventi tecnici urgenti presso i clienti dell’industria alimentare e per la continuità operativa delle nostre unità locali a Bari e Brescia, officine dove lavorano i nostri tecnici, muniti di tutti i dispositivi e le misure di sicurezza necessari. Ci siamo mossi rapidamente, fornendo strumenti adeguati a tutto il personale per lavorare da casa. Forse l’aspetto più difficile da gestire ha riguardato gli spostamenti dei tecnici sul campo, che abbiamo cercato di ridurre al minimo, limitandoci a quelli essenziali e su richiesta.
Il contatto con i clienti è cambiato? Siete riusciti a mantenerlo vivo anche da remoto?
Considerando che tutte le filiali principali negli altri Paesi hanno dovuto confrontarsi con l’emergenza coronavirus, Il Gruppo ha organizzato un training per tutta la forza vendita mondiale mirato a gestire in modo più sistematico il rapporto a distanza con il cliente. L’obiettivo è mantenere il contatto sfruttando tutte le potenzialità delle tecnologie di comunicazione oggi a disposizione. Certo, è diverso dall’incontro di persona, che soprattutto per i popoli latini ha sempre avuto un grande valore.
Come avete preparato la fase 2?
Ci siamo organizzati per rientrare negli uffici il 4 Maggio, chiaramente con le massime precauzioni e tutti i DPI necessari. Con il nostro responsabile della sicurezza, abbiamo definito un piano per un approccio graduale: chi può lavorare in smart working continua a farlo, altri alternano i turni di presenza in sede. È indispensabile mantenere le distanze ed evitare riunioni e assembramenti.
Avete ricevuto un aumento delle richieste da parte dell’industria alimentare?
Sentiamo quotidianamente i nostri clienti, tra cui alcuni fra i più importanti produttori italiani. Sono effettivamente in fermento i produttori che riforniscono la grande distribuzione, ma le aziende che servono piccole realtà e la ristorazione hanno subito un brusco rallentamento. La situazione è quindi molto diversa a seconda del business. Tutti hanno in comune, per il momento, la scarsa disponibilità a parlare di investimenti futuri: molti sono concentrati sulla gestione dell’urgenza, anche in senso positivo per chi avuto dei picchi di lavoro. I produttori puntano sulle macchine esistenti e sulla manutenzione interna. Passata questa fase, durante la quale molti impianti sono stati messi sotto pressione, la richiesta dovrebbe tornare a un ritmo normale e si farà sentire l’esigenza della manutenzione. La fornitura di ricambi, invece, non è diminuita nel periodo di lockdown. A essere congelati e posticipati oggi sono i grandi investimenti.
Lei è ottimista sul futuro dell’industria italiana?
Sono convinto che quando si ripartirà ci saranno buone opportunità, soprattutto nel settore food, per le aziende che hanno resistito all’impatto di questi mesi. Anche gli aiuti del governo e dell’Unione Europea dovrebbero favorire il ritorno degli investimenti. Il mio ottimismo riguarda però la filiera agroalimentare, che è stata una delle meno danneggiate dal virus e che rappresenta un’ampia fetta del nostro fatturato. Per altri comparti, invece, credo che la ripresa sarà più lenta e complicata.
Quanto è rilevante il settore alimentare per la filiale italiana?
Rappresenta largamente il primo settore, con una quota intorno al 90% del fatturato, che nel 2019 si è attestato sul valore di 60 milioni di euro complessivamente. I principali segmenti di destinazione dei nostri impianti sono quelli della pasta, dell’industria molitoria, della mangimistica, e del cioccolato. Per quest’ultimo, le richieste dei nostri impianti, che vanno dalla lavorazione delle fave di cacao al modellaggio, sono in forte ascesa da tre anni. Siamo presenti in molti altri settori agroalimentari, tra cui riso e birra.
Crede che questa terribile esperienza ci insegnerà qualcosa per il futuro?
Al di là del momento drammatico, trovo positiva l’accelerazione impressa ai processi di digitalizzazione, che cambieranno il modo di lavorare. Attraverso gli strumenti digitali, in questo periodo siamo riusciti a concludere trattative e a raccogliere nuovi ordini. Credo che, anche una volta superata l’emergenza, gestiremo da remoto una parte sempre più consistente delle attività, riducendo tempi, spostamenti e sprechi. Certo, il sopralluogo preliminare e la negoziazione finale di una commessa avranno ancora bisogno di visite e incontri, ma la fase intermedia di preparazione e di approfondimento tecnico potrà essere svolta in modo efficace anche a distanza. Ci ricorderemo tutti di questo periodo e di come le nostre abitudini sono cambiate nel business, ma sapremo anche dare maggiore valore alla nostra libertà, cultura e tradizione: al piacere di incontrare i clienti, fornitori e partner, di abbracciarci e stringerci la mano.