L’industria farmaceutica in Italia al tempo del virus

Intervista a Maurizio de Cicco, vicepresidente Farmindustria

L’industria farmaceutica “non è predatrice del sistema ma imprenditrice”, afferma Maurizio de Cicco, vice presidente di Farmindustria. In un clima come quello attuale dove il Coronavirus sta stravolgendo sempre più la nostra vita, è molto importante rimanere convinti del ruolo giocato dall’industria farmaceutica che “favorisce e mette al centro della propria missione aziendale la cura e la salute dei pazienti”, per trovare il prima possibile delle soluzioni concrete. Il settore del pharma, infatti, continua a rappresentare un punto di forza per il nostro paese, soprattutto in termini di manifattura, export e investimenti nelle sperimentazioni cliniche.

Dottor de Cicco, non possiamo che iniziare dall’emergenza sanitaria di queste settimane. Cosa stanno facendo le aziende farmaceutiche per combattere il Coronavirus? Può l’industria del settore contribuire ad arginare l’epidemia?

Già nel corso dell’incontro di Davos si parlava di economia e nel frattempo iniziava a sorgere il problema del virus in Cina, già allora ci fu l’impegno da parte delle imprese del farmaco nel cercare soluzioni terapeutiche ed evitare l’espandersi del contagio. Oggi abbiamo letto che ci sono già dei farmaci antivirali in sperimentazione e tante altre aziende stanno studiando i vaccini. L’attesa è molta anche da parte di coloro che meno erano disposti a credere nell’industria, mentre adesso si capisce quanto sia importante il suo ruolo nell’ambito della ricerca. Ci sono dei progetti di ricerca tra la Commissione Europea e l’industria farmaceutica: la Commissione fornirà 45 milioni di euro che si aggiungono ai 45 milioni del settore farmaceutico per un totale di 90 milioni di euro destinati  a progetti di ricerca volti a sviluppare sia le cure che gli strumenti diagnostici, per eliminare il prima possibile il COVID-19. Oltre a questo, c’è tutta una serie di attività delle singole aziende che si stanno focalizzando ciascuna nel proprio settore di competenza: alcune nell’ambito dei vaccini, altre negli anti virali e altre che stanno sperimentando dei nuovi farmaci. Una novità importante è il sostegno dato alla Cina, che trova un riflesso in tanti altri paesi. Molte aziende hanno supportato la Croce Rossa, altre hanno donato farmaci al governo cinese, ciascuna casa madre è intervenuta a modo suo e tutto questo fa parte della missione dell’azienda farmaceutica. Tutti noi mettiamo al centro della missione aziendale la cura e la salute dei pazienti: siamo imprenditori e non predatori del sistema e solamente lavorando insieme al resto del paese si potranno trovare delle soluzioni concrete. Siamo parte di queste soluzioni in un momento difficilissimo che si sta vivendo e che passa anche attraverso il contributo e il supporto del nostro settore.

 

Come si è chiuso il 2019 per il settore rappresentato dalla vostra associazione?
Oggi l’Italia ha una leadership in Europa per produzione farmaceutica, insieme alla Germania: nel 2019 il valore della produzione farmaceutica supererà i 33 miliardi di euro, grazie alla crescita significativa dell’export (+26%). Risultati raggiunti grazie agli investimenti in produzione e R&S, questi ultimi aumentati del 35% tra il 2013 e il 2018, rispetto a una media europea del +20%.Altro fattore importante – considerando che l’industria farmaceutica è un settore innovativo e l’innovazione passa attraverso la ricerca – è stato l’investimento nelle sperimentazioni cliniche, aumentate del 20% nel 2018. Per quanto riguarda la manifattura deteniamo appunto un primato, insieme alla Germania. Produzione che ha superato la spesa farmaceutica totale, che arriva ai 30 miliardi. Questo è un dato importante che evidenzia come il settore farmaceutico sia uno dei motori dell’economia italiana, sia in termini di export sia come importante hub produttivo d’Europa. Ecco perché è necessaria la massima attenzione, con un quadro di governance stabile che ci consenta di essere competitivi da un lato, ma dall’altro anche attrattivi per le multinazionali che investono in Italia. Abbiamo la necessità di continuare ad essere un paese dove le multinazionali mettono risorse.

Cosa consente al nostro pharma di essere in controtendenza rispetto ad altri settori industriali in difficoltà? Su cosa investono le industrie del farmaceutico?
La fortissima propensione all’export è sicuramente un punto molto importante, non a caso l’85% della produzione del settore farmaceutico prende la via dell’estero e questo ci aiuta a fare la differenza rispetto agli altri settori. Altro dato importante è quello della qualità e della produttività delle persone e delle risorse umane: il 90% sono laureate e diplomate. Proprio sulle persone abbiamo investito negli ultimi anni: lo dimostra l’incremento del 10% dell’occupazione negli ultimi 5 anni, il più alto tra tutti i settori in Italia. Inoltre, vale anche la pena di evidenziare che all’interno dell’industria farmaceutica vi è un contributo bilanciato di aziende a capitale italiano e a capitale internazionale: in termini di fatturato, investimenti, occupazione ed export le aziende a capitale italiano pesano il 41%, quelle a capitale internazionale il 59%. In questo senso la cosa interessante è che noi, fino ad oggi, siamo stati in grado di far capire alle case madri che era importante continuare ad investire in Italia nonostante tutte le difficoltà. Siamo un hub mondiale per la produzione di vaccini (basti pensare alle aziende a capitale inglese). Tra i grandi paesi europei, in Italia c’è la maggiore rappresentanza sia di capitale statunitense sia di capitale tedesco e siamo secondi per quello delle imprese francesi, svizzere e giapponesi. Poi c’è tutta la parte dell’indotto che, insieme all’industria farmaceutica, crea lavoro per più di 145 mila addetti. Devo dire che il Sistema Sanitario Nazionale è davvero un fiore all’occhiello del Paese. Al tempo stesso abbiamo un sistema che tenta di crescere tra pubblico e privato.

Quanto l’industria farmaceutica si interessa di digitalizzazione e 4.0?
Essendo il settore sulla frontiera dell’innovazione, credo che l’impegno messo nella digitalizzazione sia molto importante. Da un lato cerchiamo di far evolvere i ruoli all’interno delle aziende, di fornire nuove competenze e di dare un aggiornamento; dall’altra però si apre la necessità di portare avanti nuove sfide professionali che interagiscono anche con quelle già presenti. Oggi molte aziende hanno un team dedicato alle “Advanced Analytics”, per cercare di affrontare le sfide legate all’intelligenza artificiale, il “cyber security expert”, persone che si occupano del marketing digitale. In molti modi cerchiamo di portare innovazione all’interno dell’azienda, anche attraverso alcuni esperti (chiamiamo spesso anche professori universitari) che possano suggerirci le risorse migliori nell’applicare l’intelligenza artificiale sulla ricerca clinica. E la ricerca di nuove competenze è fatta anche in collaborazione con Università all’avanguardia come ad esempio il Politecnico di Milano o di Genova o comunque strutture universitarie che sviluppano i manager del futuro “digitale”.

Oltre 200 imprese e 67 mila addetti
Farmindustria è l’Associazione delle imprese del farmaco. Aderisce a Confindustria, alla Federazione Europea (EFPIA) e a quella mondiale (IFPMA). Conta circa 200 aziende associate che operano in Italia, sia nazionali sia a capitale estero.
Con oltre 170 fabbriche su tutto il territorio nazionale e 67 mila addetti altamente qualificati, di cui circa la metà donne (43%) e sempre più giovani (gli under 35 sono la metà dei nuovi assunti), le imprese del farmaco in Italia hanno un valore strategico per il Paese. E con 33 miliardi di euro di produzione nel 2019 sono tra le migliori nell’UE insieme con la Germania.
L’Italia, grazie a 6.600 ricercatori e investimenti pari a 3 miliardi di euro all’anno (1,3 in produzione e 1,7 in Ricerca e Sviluppo), è tra i protagonisti nella ricerca farmaceutica. Come dimostrano le specializzazioni nel farmaco biotech, nelle terapie avanzate, nei farmaci orfani, negli emoderivati, nei vaccini e negli studi clinici.

di Eva de Vecchis