Nel suo libro “The Plastic Paradox”, Chris DeArmitt, tra i massimi esperti internazionali di materie plastiche, analizza fatti e dati scientifici che smontano molte convinzioni su cui si fonda la crescente demonizzazione di questo materiale.
di Eva De Vecchis
Raccoltala Giusta è il progetto che si occupa di plastica, di come riciclarla e di come avere le giuste informazioni per conoscerla. Sulla scia della sua mission, Raccoltala Giusta ha dedicato una presentazione al nuovo libro di Chris DeArmitt “The Plastic Paradox”. Il volume, nato dalla raccolta di 400 articoli scientifici, sfata molti miti di oggi che accusano la plastica di essere il materiale più inquinante fra tutti. Ma è davvero così? Secondo le voci della scienza ci sono molte cose che ancora non sappiamo o che scordiamo di considerare quando definiamo “green” un qualsiasi materiale di uso quotidiano. Informarsi in modo corretto è dunque il primo passo per conoscere il ciclo di vita dei prodotti e il loro impatto ambientale, ed è anche la base migliore per aiutare noi stessi e le future generazioni.
Rimettere la scienza al centro
L’inquinamento ambientale e la sostenibilità sono diventati temi sempre più centrali nel dibattito pubblico, eppure molte informazioni sulla plastica e su altri prodotti definiti nocivi per l’ambiente sono ancora poco diffuse.
Quando dobbiamo prendere decisioni importanti ci informiamo con estrema attenzione: più la scelta è vitale, maggiore è il tempo che dedichiamo a valutare le diverse informazioni e opzioni. Lo facciamo, per esempio, quando compriamo una casa, o un’auto: analizziamo nel dettaglio le diverse proposte, valutiamo i pro e i contro, fino a giungere alla conclusione più razionale.
Ma quando si tratta del futuro del nostro pianeta non è sempre così. È questa la tesi espressa da Chris DeArmitt nel suo libro “The Plastics Paradox: Facts for a brighter Future”, che è stato presentato in un incontro on-line dal progetto Raccoltala Giusta e Unionplast che, insieme ad Assogomma, fa parte della Federazione Gomma Plastica aderente a Confindustria. Il volume è basato su oltre 400 articoli scientifici e si propone di sovvertire molti dei falsi miti che circolano sulle plastiche, portando al centro del dibattito ambientale un elemento chiave spesso trascurato: la scienza.
Chris DeArmitt è uno dei massimi esperti di plastiche al mondo. Ha un dottorato di ricerca in chimica ed è membro onorario della Royal Society of Chemistry. È consulente di società della lista Fortune 100 tra cui HP, P&G, Disney ed è spesso ospite di programmi televisivi su CBS, BBC. La sua profonda e complessa conoscenza della materia l’ha fatto giungere a una conclusione piuttosto semplice: quando si tratta di plastica e ambiente la maggior parte delle informazioni che circolano online, o sui media, non sono scritte da esperti e non sono fondate su dati scientifici.
Ci viene detto che la plastica non è verde, quando in realtà è la scelta più verde secondo l’analisi del ciclo di vita (LCA). Ci viene detto che la plastica crea un problema di rifiuti quando è dimostrato che riduce drasticamente i rifiuti: per esempio, sostituire 1 libbra di plastica richiederebbe 3 o 4 libbre di un altro materiale sostitutivo. Ci viene detto che la plastica impiega 1000 anni per degradarsi, quando in realtà un sacchetto di plastica si disintegra in un solo anno all’aperto. Siamo portati a credere che i sacchetti di plastica e le cannucce siano un problema quando si registrano a malapena nelle statistiche.
“Sono uno scienziato, quindi non vendo e non produco plastica ma sono molto interessato al tema”, ha introdotto così la sua presentazione Chris DeArmitt. “Un giorno le mie figlie sono venute da me dicendomi che a scuola avevano imparato tante cose nuove sulla plastica e sul riciclo, ma erano cose false che i loro insegnanti gli avevano raccontato. Ecco ciò che sta alla base di questo libro, l’analisi e la critica verso le dichiarazioni fatte da persone che odiano la plastica e dicono cose spesso infondate ad altri solo per convincerli. Soprattutto se questi altri sono i nostri figli, gli elettori di domani convinti di cose che non esistono e che solo la scienza può contraddire e verificare”.
500 milioni di cannucce immaginarie
Nell’introduzione al suo libro DeArmitt cita un esempio piuttosto illuminante che riguarda uno degli oggetti in plastica più controversi, le cannucce. Nel 2018 un ragazzino di 9 anni, Milo Cress, diffonde online un’informazione in cui sostiene che gli americani userebbero 500 milioni di cannucce di plastica al giorno. La notizia viene ripresa, a cascata, dalle testate più autorevoli come, ad esempio, Fox News, Wall Street Journal e New York Times. Nessuno però si preoccupa di verificare la fonte e così la notizia si diffonde a macchia d’olio su media e social media. Solo più tardi ci si rende conto di come il conteggio fosse largamente sovrastimato e che, soprattutto, fosse stato fatto da un bambino.
I problemi legati alla diffusione di fake news come queste sono molteplici come lo sono le decisioni che vengono prese di conseguenza.
“Il fatto che una notizia di questo tipo arrivi da un bambino di 9 anni e che molta gente ci abbia creduto la dice lunga sulla sicurezza delle informazioni”, ha confermato l’autore del libro. “La prima cosa importante dunque è non lasciarsi affascinare da informazioni che non hanno prove o dati che le possano confermare”.
Green o no?
Oltre a dover spendere più tempo nel capire quale notizia sia vera e quale no, la seconda cosa da chiedersi è cosa si intende per prodotto “green”. L’unico modo per saperlo, dice DeArmitt, è conoscere il suo ciclo di vita. Per essere sicuri che un prodotto sia amico dell’ambiente, dunque, bisogna considerare ogni singolo aspetto della sua produzione: i materiali grezzi di cui è composto, quanta energia viene usata per produrlo e quanto monossido di carbonio viene rilasciato, quali trasporti sono stati coinvolti e in che modo è avvenuta la distribuzione, fino al suo smaltimento e riciclaggio a fine vita.
Certo, un materiale perfetto che non abbia impatto ambientale non esiste, ma anche quelli che sono accusati di essere i principali nemici della sostenibilità forse sono meno pericolosi di quanto sembri.
Un esempio sono le grocery bags o le shopping bags che molti studi hanno evidenziato essere il prodotto più pericoloso in assoluto per l’ambiente. “Eppure, 25 altri studi condotti nel mondo hanno confermato il contrario, e cioè che le tanto accusate buste di plastica per la spesa sono più sostenibili della carta e del cotone. Allora, viene da chiedersi, perché i politici le tassano, perché le denigrano tanto e perché non vale lo stesso per le buste di carta? La plastica, infatti, considerando tutto il suo ciclo di vita è molto meno inquinante di altri materiali”.
Nello specifico il PET, usato per confezionare cibi e bevande è molto meno inquinante e consuma molta meno energia di quanta ne venga impiegata nella produzione di alluminio e vetro.
“Se infatti mettessimo in fila una serie di elementi ordinati dal meno inquinante al più inquinante – ha proseguito DeArmitt nella sua presentazione – e se considerassimo tutto il loro ciclo di vita, la lista inizierebbe dal legno, che è il più sostenibile (peccato solo non sia possibile costruirci gli aerei, le macchine o i computer); seguirebbe la plastica, perché nel suo processo produttivo richiede poca energia e poco monossido di carbonio; poi la carta, che a volte può vincere sulla plastica ma più spesso la seconda è meno inquinante in termini di materiale impiegato: il prodotto in carta infatti, sarà sempre più pesante di quello in plastica, per garantire lo stesso grado di resistenza. Infine l’acciaio, l’alluminio e il vetro che sono i peggiori e necessitano di molta energia per essere realizzati”.
Una valanga di plastica?
Sentiamo spesso dire che annegheremo in un mare di plastica, eppure ci sono molti dati da considerare prima di definire vera questa notizia. Per esempio, può aiutare sapere che i rifiuti in plastica rappresentano solo il 13% dei rifiuti totali presenti negli Usa, mentre la carta, per esempio, ne rappresenta il 25%.
“Un’altra domanda da porsi prima di parlare male della plastica è: da dove vengono i rifiuti? È un punto interessante e alternativo che va oltre la classica domanda: quanti rifiuti vengono gettati nell’ambiente?”.
In verità, sapere chi produce i rifiuti è anche il dato più importante, spiega DeArmitt, perché permette di scoprire che, in realtà, paesi come America ed Europa non gestiscono male gli scarti e anzi, applicano le soluzioni migliori per smaltirli. La maggior parte dei rifiuti non smaltiti proviene da continenti come Africa o Asia, che hanno sistemi e tecnologie per lo smaltimento molto meno efficienti. I gruppi di tutela ambientale dunque si rivolgono ai paesi occidentali perché sono i più ricchi ma anche quelli dove, a dire il vero, il problema dello smaltimento dei rifiuti è minore. “Incolpare le multinazionali perché generano materiali devia l’attenzione da quella che potrebbe essere una soluzione reale.
Se ci fosse più disciplina, per esempio, sarebbe una grande svolta per il pianeta”, ha concluso DeArmitt. “I soldi non vengo buttati perché hanno un valore, se dessimo un valore alla plastica, probabilmente non verrebbe gettata sulle spiagge o per le strade delle città”.
L’obiettivo che ha guidato lo scienziato DeArmitt nella scrittura del suo libro è lo stesso che sta alla base del progetto Raccoltala Giusta: raccogliere e “differenziare” i dati sulle plastiche per promuovere un’informazione corretta, di modo che le decisioni delle aziende e dei comuni cittadini – su quali prodotti utilizzare e perché – siano sempre fondate su dati scientifici. Solo così si potrà costruire un presente e un futuro realmente sostenibili per noi e per le prossime generazioni.