Il valore aggiunto degli espansi

The IES Group si occupa di applicazioni speciali dell’EPS per numerosi settori industriali ed è il principale produttore europeo conto terzi di caschi per ciclismo. La continua ricerca di lavorazioni e materiali innovativi ne fa una delle società più avanzate del settore. 

di Alessandro Bignami

Un materiale che si presta a progetti innovativi e su misura, dove non contano i grandi volumi produttivi, ma lo sviluppo di soluzioni a valore aggiunto, senza dimenticare una concreta attenzione all’ambiente. Così The IES Group ha contribuito a rinnovare l’identità e le potenzialità applicative dell’EPS, il polistirene espanso sinterizzato, ma non solo. Si è anche impegnata nella ricerca e nello sviluppo di differenti materiali espansi, come EPP, eTPU, EcoBlackOne e Ocean. Il Gruppo è frutto dell’unione di IES Espansi e Polirama, due aziende di riferimento nella lavorazione degli espansi, a cui si aggiungono la collaborazione con Next Design Innovation e il brand Elmo, dedicato alla produzione dei caschi conto terzi. La società è attiva con uno stabilimento a Besana Brianza (MB) e uno a Rivergaro (PC). Con il General Manager Manuele Lucisano abbiamo cercato di conoscere meglio le idee e le strategie che muovono The IES Group.

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Manuele Lucisano, General Manager di The IES Group

Quando ha preso forma l’attuale assetto del Gruppo?

Nel 2011 abbiamo rilevato un importante stabilimento di stampaggio di materie plastiche espanse a Besana Brianza. Fin da subito abbiamo impresso una svolta alla strategia di marketing e produttiva, orientando il sito verso la realizzazione di prodotti tecnicamente più complessi e verso la continua ricerca di materiali e tecniche innovative di lavorazione. Abbiamo dunque abbandonato lo stampaggio di imballi in EPS semplice e ci siamo concentrati su mercati di nicchia e ad alto valore aggiunto. Tanto che potremmo definirci i sarti delle plastiche espanse. Per l’automotive, ad esempio, non lavoriamo sulle grandi produzioni, bensì su articoli e servizi specifici destinati a marchi di lusso come Ferrari, Lamborghini, Aston Martin, Bentley… L’alta specializzazione fa parte dell’approccio che abbiamo adottato per lo stabilimento di Besana Brianza, dove il reparto qualità gioca un ruolo fondamentale. 

In cosa consiste il valore aggiunto dei vostri prodotti?

Ci distingue la tendenza a occuparci di produzioni non ancora del tutto industrializzate. Veniamo incaricati dal committente di studiare e sviluppare da zero una soluzione che risolva un loro problema. Con questo approccio siamo diventati in pochi anni il primo produttore europeo conto terzi di caschi per ciclismo. Il casco è un co-stampato di polistirene con una calotta esterna termoformata. Il processo di produzione, che si chiama In-mould, è stato brevettato proprio nello stabilimento di Besana Brianza. E anche in questo caso non stiamo parlando di una produzione industrializzata, nonostante i numeri (circa un milione di caschi escono dallo stabilimento ogni anno, ndr) possano far pensare il contrario. Si tratta di un settore che segue logiche più vicine al prodotto artigianale che in serie. Penso ai brand lanciati da ex campioni, alle mode che portano a continue variazioni, senza contare che ogni casco contiene una ventina di componenti diversi, alcuni tutt’altro che banali da realizzare, come gli inserti, la visiera, il regolatore della taglia e persino il rilevatore GPS. 

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The IES Group è il primo produttore europeo conto terzi di caschi per ciclismo. Il processo di produzione In-mould è stato brevettato nello stabilimento di Besana Brianza (MB)

La crisi dell’automotive vi ha creato delle difficoltà?

Non ci ha quasi toccato, essendo i nostri prodotti progettati per auto di lusso, meno sensibili alle fluttuazioni dei consumi. In ogni caso, abbiamo deciso di diversificare i settori di applicazione, in modo da non dipendere troppo dall’andamento di un singolo mercato. Certo, i mesi del primo lockdown sono stati duri anche per noi, ma poi abbiamo recuperato con grande slancio, arrivando a chiudere l’anno con una crescita a due cifre.

Quali sono i settori dove oggi state lavorando di più?

Abbiamo molte richieste per i vassoi di movimentazione, che interessano pressoché tutti i settori manifatturieri, dove cresce la tendenza ad automatizzare e ottimizzare i processi, anche in funzione del contenimento dei costi di produzione. In Italia, stiamo lavorando con successo per i sistemi HVAC, per l’industria farmaceutica, per i settori aerospaziale e militare. 

Tipicamente, chi è il vostro cliente?

Può essere un produttore industriale, così come uno studio di progettazione, oppure una società commerciale che ci incarica di sviluppare e realizzare un prodotto specifico per i suoi clienti.  

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Quali produzioni ospita lo stabilimento di Rivergaro?

Fino al maggio 2019 il sito emiliano è stato di proprietà di un nostro partner, Polirama Italia, che ci forniva i prodotti di più semplice fattura. Dopo l’acquisizione, abbiamo in parte mantenuto questa missione per continuare a servire i clienti storici. La produzione è dunque concentrata su grandi volumi di imballi che competono prevalentemente sul prezzo. Ma anche qui stiamo progressivamente portando le nostre idee, con l’intento di diversificare e creare del valore aggiunto. 

In che modo? 

Specializzandoci nello sviluppo di materiali riutilizzabili. Abbiamo già depositato un brevetto riguardante un materiale innovativo, EcoBlack One, che rende l’imballo di polistirene in grado di essere riusato per le volte che si desidera, con ottimi risultati per l’ambiente, per l’immagine del cliente e per il risparmio sui contributi ambientali legati al recupero o allo smaltimento. 

Ci può fare un esempio?

Produciamo le vaschette del gelato, che consentono al consumatore di tornare dal gelataio per ricaricare lo stesso contenitore. È un caso emblematico di quanto non sia tanto il materiale in sé a costituire il problema, ma l’utilizzo che se ne fa al termine della catena. Anche cartone, vetro e alluminio sono molto inquinanti se vengono dispersi nell’ambiente. Occorre riflettere sull’intero ciclo di vita di un prodotto o di un materiale per quantificare oggettivamente la sua carbon footprint. Si consideri poi che il nostro EPS è composto per oltre il 98% da aria, quindi la reale quantità di plastica sul volume del prodotto finale è molto bassa. 

IESAvete quindi applicato una strategia ambientale diversa rispetto a chi punta sulle plastiche bio.

Crediamo che nella corsa al materiale biodegradabile, al di là delle campagne di marketing, ci sia poca chiarezza: ci sono prodotti che nascono da biomasse ma poi non sono biodegradabili e viceversa prodotti biodegradabili che provengono da fonti fossili. A ciò si aggiunge la scarsità degli impianti per il recupero dei prodotti biodegradabili nei normali centri di raccolta dei rifiuti. Il tema delle bioplastiche è molto più complesso di certi slogan e deve inoltre fare i conti con la reale sostenibilità economica. C’è poi il problema del contatto con gli alimenti, formati essenzialmente da acqua e quindi incompatibili con una confezione biodegradabile, a tal punto che alcuni produttori aggiungono uno strato interno termoformato, compromettendo i vantaggi ambientali del mono-materiale. Per tali ragioni abbiamo scelto un’altra strada, eliminando progressivamente, nello stabilimento di Polirama, la produzione di imballi a perdere a favore del riuso. Il problema del fine vita non è invece centrale per i prodotti a valore aggiunto del sito di Besana Brianza, essendo duraturi e resistenti. Qui l’attenzione alla tutela ambientale è rivolta allo sviluppo di materiali innovativi come Ocean, un polipropilene espanso che ha tutte le proprietà dell’EPP tradizionale, ma con il vantaggio di essere composto per il 15% da un polimero prodotto da plastiche ripescate dal mare. Si tratta di un processo certificato in cui crediamo molto.

La plastic tax, quando entrerà in vigore, porterà qualche concreto beneficio alla politica ambientale del nostro paese?

Nessuno ha saputo spiegarmi se i proventi di questa tassa saranno impiegati in progetti di sostenibilità, come il contributo ambientale che già viene pagato al Conai per mitigare l’impatto inquinante della plastica. Ho l’impressione che sia solo un’imposta in più, impressione confermata anche da un mio recente intervento al Politecnico di Milano davanti ad alcuni politici. Resto convinto che tassare la produzione a monte serva solo a spostare il problema, anche perché non ci sono al momento materiali alternativi in grado di sostituire la plastica. Credo che ci si debba concentrare molto di più sulla gestione del prodotto finale e sul suo corretto smaltimento o recupero. È qui che lo Stato dovrebbe intervenire.

IESAvvertite in questo periodo la mancanza delle fiere?

Più che altro siamo consapevoli che la carenza degli eventi e dei confronti di persona ci fa perdere qualche opportunità di informarsi da vicino sulle tendenze tecnologiche che si affermeranno. Le fiere non ci mancano particolarmente, invece, come strumenti di marketing. Il mercato infatti ha imparato a conoscerci grazie alle prove che abbiamo dato sul campo, al passaparola dei clienti soddisfatti. Preferiamo comunicare con i fatti, documentazioni, dati e informazioni precise, più che con operazioni di immagine. Oggi siamo riconosciuti come innovatori capaci di investire molto in ricerca e sviluppo. Persino i produttori dei polimeri di base tedeschi e giapponesi ci contattano per studiare nuovi prodotti.