ENEA: studi sul grano duro tollerante a condizioni ambientali estreme

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Accrescere la capacità di risposta e di adattamento del frumento duro agli stress ambientali è l’obiettivo del progetto IMPRESA afferente al programma PRIMA, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca con oltre 700mila euro, che vede coinvolta l’Italia con ENEA e Università della Tuscia (coordinatore), insieme a istituzioni scientifiche di Turchia (Università di Harran), Algeria (Università di Ferhat Abbas Sétif e Centre de Recherche Scientifique et Technique sur les Régions Arides) e Tunisia (Center of Biotechnology of Sfax).

“Il grano duro è una coltura alimentare di importanza strategica per l’Italia e per molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. E proprio con alcuni di loro stiamo lavorando per rendere questa pianta più tollerante agli stress ambientali, come siccità, alte temperature e salinità del suolo, che a causa dei cambiamenti climatici sono sempre più diffusi, con forti penalizzazioni delle produzioni. Per raggiungere questo risultato stiamo cercando di ampliare la base genetica del grano duro, che è stata fortemente ridotta dalla prolungata selezione per tipi più produttivi in condizioni ottimali di coltivazione. Per farlo attingeremo al grande potenziale naturale presente nelle graminacee selvatiche, affini ai frumenti coltivati, che sono una valida fonte di geni per la tolleranza a condizioni ambientali estreme, perché queste piante non hanno subìto una selezione da parte dell’uomo e si sono adattate in modo naturale all’ambiente circostante”, spiega Debora Giorgi, ricercatrice ENEA del Laboratorio Biotecnologie e responsabile del progetto per l’Agenzia.

Grazie all’impiego di strategie di ingegneria cromosomica non-OGM, la coordinatrice del progetto, Carla Ceoloni dell’Università della Tuscia, ha sviluppato linee ricombinanti in cui sono state trasferite quantità variabili del corredo genetico di specie selvatiche tolleranti agli stress ambientali, come ad esempio le specie perenni Thinopyrum ponticum e Thinopyrum elongatum. Tali linee sono state messe a disposizione del team internazionale che ha già iniziato a testarle per selezionare quelle maggiormente resilienti. “Siamo già partiti con i primi test che ci permetteranno di valutare la capacità di resilienza a siccità, alte temperature e salinità del suolo di queste nuove combinazioni di frumento duro e graminacee selvatiche sia in condizioni controllate sia in campo, nei vari ambienti pedo-climatici presenti nei Paesi che hanno aderito al progetto. Questa è una fase fondamentale che ci ‘traghetterà’ a quella successiva, quando trasferiremo le nuove caratteristiche di adattamento a varietà di frumento duro meglio rispondenti alle esigenze di coltivazione dei diversi ambienti e degli utenti finali, come agricoltori e aziende sementiere e di trasformazione”, sottolinea la ricercatrice ENEA.

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In particolare, i ricercatori ENEA si stanno occupando dello studio, in condizioni controllate (in serra) e nelle prime fasi di sviluppo della pianta, della risposta allo stress salino di alcune linee ricombinanti di frumento duro/graminacee selvatiche, valutandone la crescita sia in termini di sviluppo della pianta che di proliferazione cellulare.

Il sistema agricolo nel suo complesso si trova oggi più che mai coinvolto in importanti sfide: da una parte l’aumento della domanda di cibo a livello mondiale, dall’altra le conseguenze del cambiamento climatico in atto che contribuisce a ridurre la disponibilità di ambienti adeguati per le produzioni alimentari. In particolare, l’aumento delle temperature, la scarsità di risorse idriche, l’erosione e l’alterazione dei suoli rappresentano problematiche emergenti per il Sud d’Italia e per altri Paesi del bacino del Mediterraneo.

“In questo scenario appare urgente elaborare un nuovo paradigma per il miglioramento genetico delle specie vegetali e, quindi, un nuovo modello di pianta o ‘ideotipo’ per le colture di interesse agrario. Non solo. Il progetto incoraggerà approcci partecipativi, valorizzando le esperienze locali in conservazione, utilizzazione e gestione delle risorse genetiche vegetali, ad esempio saggiare i materiali genetici anche in sistemi di ‘agricoltura conservativa’ diffusi in Algeria e in Turchia e di crescente interesse per gli operatori cerealicoli dell’Italia meridionale”, conclude la ricercatrice dell’ENEA.

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