L’innovazione aspetta i suoi chip

Alcune conseguenze della crisi sanitaria stanno salendo a galla, tra queste c’è anche la carenza di semiconduttori che interessa l’automotive: un comparto che ha subito una frenata e che non vede l’ora di ripartire.

di Eva De Vecchis

I semiconduttori fanno ormai parte della nostra vita quotidiana. Si trovano negli smartphone, nei caccia, nelle automobili e sono presenti persino quando mandiamo un’email. Questi dispositivi fanno parte di molta tecnologia moderna ed è per questo che la loro fornitura globale è fondamentale per mandare avanti l’economia. Basti pensare al settore dell’automotive dove ormai (secondo un’indagine condotta da Deloitte), la componente elettronica costituisce circa il 40% del valore del veicolo. Le case automobilistiche quindi, hanno bisogno di semiconduttori e poiché il mercato in questione genera solo nel nostro paese circa 52 miliardi di euro, è importante che sopravviva.

Eppure, ultimamente, la fornitura di questi preziosi chip ha cominciato a calare in tutto il mondo. Il problema è stato attribuito a diversi fattori tra cui: la scarsa pianificazione, la complessità della filiera e l’abitudine a tenere poche scorte nei settori di punta a causa delle spese elevate. Altri sostengono che sia colpa dell’avvento del 5G, del gaming online e dello streaming video ma anche della crescente complessità delle nuove auto in circolazione. Oppure le cause potrebbero essere tutte quante insieme, fatto sta che c’è bisogno di più semiconduttori altrimenti, senza di essi, potremmo assistere al crollo di settori chiave per lo sviluppo tecnologico con non poche conseguenze. 

Ad aggravare la crisi poi, ci si è messo anche il Covid-19 che ha compromesso molte realtà anche nel mondo dell’hardware tecnologicamente avanzato. La più grande responsabilità della crisi sanitaria è stata quella di aver creato una biforcazione della domanda. Se da un lato infatti la chiusura forzata prodotta dal lockdown ha causato un crollo nella richiesta di veicoli con ordini che hanno sfiorato lo zero; d’altro canto abbiamo assistito ad una brusca impennata della domanda di chip e hardware per computer e data center (sempre causata da un aumento del ‘tempo casalingo’).

Questa scissione ha però portato a pericolose oscillazioni dei produttori di un’industria che ha bisogno di pianificazione attenta e tempi di consegna dilatati. Se quindi un’azienda di elettrodomestici avrebbe potuto risolvere il problema con maggiore facilità, rivolgendosi ad un altro produttore, nell’automotive il discorso cambia così come cambiano i tempi: in questo comparto ci vogliono dai tre ai sei mesi (o più) per verificare la corretta implementazione dei chip in arrivo ed è improbabile che l’azienda si rivolga ad altri produttori. L’unica soluzione – e anche la più utile ad entrambe le industrie- sarebbe quella di aumentare la produzione delle filiere già attive, cosa che i produttori di chip hanno fatto sulle loro linee esistenti, nonostante una capacità produttiva che in certi casi supera già il 90%. Ampliare la produzione quindi, e modificare i tassi sulle macchine in commercio per consegnare in anticipo l’hardware ordinato e ottenere più vantaggi dalle stesse filiere. 

Le risposte dell’automotive

Il futuro quindi è dei semiconduttori. Se i veicoli alimentati a combustibile fossile utilizzano già molti componenti allora quelli elettrici, emblema del futuro, ne useranno ancora di più. Questa crescente necessità di chip – anche in vista di un incremento dei sistemi di guida assistita (ADAS)- connessa alla carenza di semiconduttori in commercio porterà le aziende automobilistiche ad avere rapporti sempre più ravvicinati con i produttori di questi fondamentali dispositivi. In tal senso va anche considerato che le case automobilistiche si rivolgono, per ciascun pezzo dell’auto, a diversi fornitori e anche questo costituisce un ulteriore aggravio che, per esempio, non interessa le aziende di elettronica e di computer le quali si rivolgono direttamente ai produttori di semiconduttori, dimezzando in questo modo le difficoltà. 

In un simile trambusto alcune concessionarie hanno saputo reagire con maggiore prontezza alla crisi in corso. La Toyota, per esempio, forte della sua esperienza a seguito del maremoto Fukushima di dieci anni fa, ha realizzato un piano di stoccaggio risorse capace di coprire il suo fabbisogno di chip da due a sei mesi, anche se questo non ha escluso del tutto le difficoltà obbligando l’azienda ha sospendere per qualche giorno l’attività dell’impianto Kolin in Repubblica Ceca.

Anche General Motors, Honda, Nissan, Volkswagen e Volvo hanno annunciato la chiusura di alcune delle loro fabbriche. A queste si è aggiunta Stellantis che ha scelto di interrompere la produzione del Ram 1500 Classic tra Warren (Michigan) e Saltillo (Messico) finché non torneranno disponibili tutti i componenti necessari per alcuni dispositivi e  Ford, che chiude in Ohio e nel principale impianto europeo a Colonia (Germania), dopo aver osservato l’impatto negativo che la crisi dei chip potrebbe avere sulle proprie finanze. 

Una crisi sfortunata

Come se non bastasse lo scorso marzo ha preso fuoco un impianto di Renesas Electronics, produttore di wafer da 300 mm e microcontrollori per automobili. Un ulteriore aggravio alla già forte carenza di chip. La fabbrica N3 nel sito di Naka (Hitachinaka, prefettura di Ibaraki) in Giappone ha subito cinque ore di incendio ma nessun ferito. Le ricadute invece potranno interessare non solo il paese del Sol Levante ma anche Europa e Stati Uniti, considerando che la sola Renesas detiene circa il 30% del mercato globale di chip auto. L’impianto dovrebbe tornare attivo a breve ma l’impatto stimato non è irrilevante e si calcola una perdita di 17 miliardi di yen, circa 150 milioni di dollari.

Gli altri protagonisti

E così la carenza di semiconduttori interessa tutti e tutto il mondo. A lanciare l’allerta dunque ci sono stati altri brand globali come Qualcomm, General Motors e Samsung che hanno chiesto a Taiwan di mettere in primo piano la produzione di chip per automobili. 

Nel quadriennio 2015-2019 l’intensità media di capitale del settore è stata dell’11-18% mentre per il nuovo ciclo di capitalizzazione 2021-2023 è previsto un aumento del 20-22% che comunque non risolverà subito la crisi. La scarsità di semiconduttori infatti, continuerà fino al terzo trimestre di quest’anno con un aumento dei prezzi che si protrarrà fino al 2022. La stessa Qualcomm ha stimato uno stallo delle forniture per tutta la prima metà dell’anno, sebbene in questi mesi abbia toccato il suo massimo storico.

General Motors invece ha deciso di sospendere o di limitare per una settimana la produzione a quattro impianti sparsi tra Stati uniti, Messico, Canada e Corea del Sud per mancanza di chip. Infine anche Samsung, dall’alto della sue esperienza come principale produttore mondiale di smartphone, ha risposto a questo panorama di crisi con l’idea di espandere la propria produzione di semiconduttori che ha rappresentato nel 2020 la metà del proprio profitto. 

 

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